9706_1_driving-autocrossitalia.it
E purtroppo eccoci arrivati alla teoria. Inevitabile come la pioggia il giorno che vi decidete ad andare in pista a girare. Con qualche conoscenza di base della dinamica del veicolo si arriva sicuramente più lontano, negli sport motoristici, almeno credo. Quindi beccatevi ‘sta pappardella e buona lettura! Consiglio comunque di resistere fino alla fine perché io stesso pensandoci e ripensandoci ci ha imparato molte cose che credevo funzionassero in maniera diversa! Per una volta la sQuola è servita a qualcosa. Incredibile. Ringrazio anche alcune letture che ho fatto sulla rete che mi sono servite molto.
LE GOMME
Capire come guidare e come si comporta una vettura è impossibile se prima non capiamo come lavorano le gomme. Le gomme sono ciò che ci tiene attaccati all’asfalto e alla terra , si può avere il telaio e le sospensioni migliori del mondo, ma se le gomme lavorano male non staremo in strada e andremo a sbattere…contro le gomme..
Per capire più a fondo questo tipo di comportamento e necessario trattare il concetto fondamentale della “deriva” della gomma.
LA DERIVA.
Quando entriamo in curva, sterziamo violentemente e sforziamo la gomma, questa reagisce deformandosi elasticamente ed essendo elastica ci restituisce in qualche modo la deformazione che le abbiamo imposto..
Ipotizziamo quindi di essere in rettilineo, a velocità costante e il motore per un attimo non agisce sulle ruote né i freni (condizione di equilibrio).
La ruota (vale sia per anteriore che per posteriore) vista da davanti appoggia sul terreno ed è deformata poiché deve sopportare il peso del veicolo (o, meglio la parte di esso che le spetta).
Vista dall’alto la ruota si presenterebbe così: l’impronta a terra è definita dall’area tratteggiata che è regolare e simmetrica. Come si vede l’asse dell’impronta coincide con l’asse della ruota. Poiché la ruota gira la parte di gomma che si trova a contatto con l’asfalto (o meglio la spalla del pneumatico) si “schiaccia” e questo succede ad ogni giro della ruota. Questo si chiama “attrito volvente” ed è il responsabile del fatto che più una ruota è sgonfia e più consumiamo benzina e, di riflesso, andiamo meno veloci. Naturalmente se un pneumatico non si deformasse (lo gonfio a 100 bar!) la parte di esso (battistrada) a contatto con l’asfalto e cioè l’impronta a terra, sarebbe piccolissima e questo provocherebbe un bassissimo attrito causando una sicura uscita da pista a ogni curva (è una ipotesi, in realtà esploderebbe prima). Per capire ciò basti pensare alle ruote dei treni che sono piene e di materiale ferroso, con deformazioni veramente minime (ma pur sempre esistenti) e quindi con bassissimo attrito volvente che sono incapaci di dare una qualsiasi direzione alla motrice che non si quella rettilinea, essendo affidata la curva alle protuberanze laterali delle ruote stesse. Quindi: il pneumatico che si deforma e fa attrito è un bene perché mi da tenuta di strada ma naturalmente entro i limiti del buon senso e quindi rispettando la giusta pressione di gonfiaggio.
Mettiamo ora di entrare in curva (senza frenare!pazzo!il comportamento in frenata lo vedremo dopo…).
L’inerzia è quella forza che impedisce a un qualsiasi corpo di proseguire nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. In sostanza se un corpo procede dritto a una certa velocità, non è facile fargli cambiare idea. Questa forza si manifesta anche in curva ed è chiamata “Forza centrifuga” e più è stretto il raggio della curva e più siamo veloci e più essa e grande (basta pensare ai go-kart). Quindi la forza centrifuga agisce sulla gomma tramite lo chassis e di seguito tramite le sospensioni sulla ruota. Dall’altra parte sulla ruota agisce anche la forza di attrito pneumatico-asfalto. Pertanto alla gomma non resta altro che deformarsi elasticamente come da disegno.
.
Sotto questo sforzo, il punto di contatto con l’asfalto si sposterà verso l’interno della vettura e l’asse dell’impronta a terra del pneumatico non coincide più con l’asse della ruota:
Primo concetto importante: ANGOLO DI DERIVA (slip angle).
In questo modo si capisce che l’asse della ruota (che rimane sempre quello) e l’asse dell’impronta a terra non coincidono più e si trovano a formare un angolo fra di loro: l’angolo di deriva.
Il problema basilare è semplicemente questo: la gomma non può deformarsi indefinitamente. Fino ad un certo punto, la reazione è lineare, ovvero tanto più io la “carico” (cioè tanto più cerco di sfruttarne l’aderenza), tanto più la gomma, sotto lo sforzo imposto, si deforma e naturalmente più “tiene”.
Per capire quello che succede analizziamo il grafico (indicativo per quello che riguarda i valori). Partendo da sinistra in basso sono nelle condizioni suddette di “riposo” e cioè con la ruota che sopporta 100 Kg di peso e con angolo di deriva nullo.
Sterzando, la ruota viene gravata dalla componente della forza centrifuga come spiegato prima e aumenta il suo angolo di scorrimento (stiamo salendo lungo la curva blu). Più sterzo e più vado su nel grafico (anche se la relazione non è perfettamente lineare) fino a quando arriviamo alle condizioni di massima tenuta. Qui si dovrebbe fermare il bravo pilota perché è qui che la gomma mi da il massimo. Purtroppo se insisto oltre questo punto la gomma si deforma sempre più e, quel che è peggio, non è più in grado di sopportare neanche il carico impostole. In sostanza qui inizia il “sottosterzo”: insisto a girare il volante ma la vettura non curva. Quello che prima era capace di sopportare (max tenuta) ora non lo è più, ho esagerato. Che fo?
Allargo la traiettoria e ritorno nella condizione di max aderenza.
Insisto col volante fino ad arrivare al punto limite: sono contro le gomme!
Per fortuna le gomme che usiamo nella velocità su terra hanno comportamenti molto intuibili e per così dire “ci avvertono” quando siamo sul punto di andare fuori strada. Differenti quelle delle vetture da turismo e da rally su asfalto , con spalla bassissima e con altissima aderenza ma con un comportamento nervosissimo e difficile da prevedere in condizioni di aderenza limite.
Importante:
Si noti come l’aderenza a questo punto non è niente altro che il frutto di un carico verticale sulla ruota; come dire che più schiaccio il pneumatico e più questo mi dà aderenza. Quindi, in teoria, se non ho sufficiente aderenza (sottosterzo) sarebbe sufficiente aumentare il carico (sterzando di più; facendo la curva più stretta o più veloce) per far aderire meglio il pneumatico! Oppure addirittura se ho una vettura più pesante!
Sembra un controsenso ma in realtà in queste condizioni (tipo vettura che pesa il doppio del mio prototipo tubolare), le condizioni limite del pneumatico (che non variano se non al variare del pneumatico stesso e tutt’alpiù della geometria delle sospensioni), portano la gomma al limite di aderenza più velocemente e quindi vado fuori prima (sempre contro le gomme!).
Le vetture da corsa sono leggere il più possibile per questo motivo, riuscendo quindi a “chiedere” al pneumatico meno sforzo per fare le stesse cose di una vettura comune.
DERIVA LONGITUDINALE
Il discorso della deriva, ovviamente, vale nel verso di percorrenza della pista: anche quando accelero e freno la gomma si deforma e ci sarà comunque un limite alla deformazione della gomma che mi consente di andare dritto e non slittare.
Ciò che succede avvicinandosi a questo limite è assolutamente analogo a quello che succede in senso laterale: dapprima comincio a perdere aderenza (fase “calante” della curva) più o meno progressivamente a seconda del tipo di gomma, poi arrivo al limite della deriva e perdo ogni aderenza.
In pratica:
in frenata le ruote si bloccano.
In accelerazione sgommo e la macchina non va avanti.
DERIVA TOTALE
Naturalmente la deriva non e solo longitudinale o trasversale ma può verificarsi contemporaneamente.
Come quando si accelera mentre si curva o quando si frena e si sterza allo stesso tempo.
Esiste un famoso diagramma che consente un po’ di capire come la cosa funziona:
Prima di tutto: se le condizioni alle quali viene sottoposta una gomma stanno all’interno dell’area grigia (o dell’ellisse) sono a posto perché non raggiungo il limite di aderenza.
NOTA. Il fatto che si tratti di ellisse e non di cerchio sottolinea il fatto che le gomme riescono a dare maggiore aderenza in accelerazione che non in curva. Questo giustifica il fatto che una delle tecniche di guida più
Primo esempio:
Con un prototipo gruppo 3 1600 sto percorrendo una leggera semicurva a destra e contemporaneamente sto facendo una bella frenata (freccia verde). Quindi ho un pochino di componente della freccia sull’asse della “Destra” e una bella componente su quello della “Frenata” ma rimango con la freccia verde ancora all’interno dell’area grigia: la curva la faccio e non vado a sbattere.
Caso diverso quello della freccia rossa: la frenata è la stessa ma la curva l’ho presa troppo decisa e i pneumatici non riescono a rispondere essendo troppo deformati: vado a sbattere (…contro le gomme). Prese singolarmente le forze applicate mi avrebbero consentito di fare la curva ma le due assieme no!
Per salvarmi riduco la frenata o sterzo un po’ meno.
Da ricordare le ruote anteriori sono un po’ più sfortunate di quelle posteriori poiché, otre tutto ciò che abbiamo detto, devono sopportare anche l’angolo di sterzo che aumenta lo stress sulla gomma stessa.
Secondo concetto importante:
FORZA DI ATTRITO RADENTE.
Il paziente appassionato (paziente perché è arrivato a leggere fin qui) avrà osservato che fin ora ho parlato di attrito con l’asfalto e non con la terra, come avrei dovuto. Questo perché è facilmente intuibile che se la gomma deve arrivare alle condizioni di deriva massima, è necessario che l’attrito con il terreno sia il più grande possibile e non sempre la terra consente tutto ciò. Infatti la terra, ghiaia, sassi, il ghiaccio ecc. hanno un “coefficiente di attrito radente” inferiore a quello dell’asfalto. Ogni superficie ne ha uno e la legge che lo descrive è la seguente:
Forza di attrito = (Ka) * Forza peso
In pratica, preso una qualsiasi corpo (per esempio un bel cassettone porta libri vecchi della nonna) più pesante è e più difficile è da spostare orizzontalmente (a parità di materiale, nel nostro caso: legno contro pavimento). Il cassettone si muoverà solo se gli applichiamo lateralmente una forza con le nostre braccia e gambe almeno leggermente superiore alla Forza di attrito. La Costante è la Ka (coefficiente di attrito). Ogni materiale ha il suo.
(A voler essere precisissimi una volta mosso il corpo la forza che si deve applicare al corpo può essere anche diversa poiché da attrito statico si passa a quello dinamico, ma qui si va molto per il sottile…).
Come la cassettiera della nonna così si comporta il battistrada del nostro pneumatico nei confronti della terra. Insomma la Ka della terra (che potrebbe valere 0,3 per esempio; per l’asfalto vale 0,55 circa) é inferiore a quella dell’asfalto e quindi non è detto che il pneumatico riesca a raggiungere l’angolo limite di deriva prima che la gomma “slitti” sulla terra.
In parole povere ipotizziamo di essere in curva con il mio tubolare e stare sterzando: i pneumatici esterni sono appena deformati ma sto percorrendo una curva con la terra particolarmente farinosa e non compatta e il peso gravante sulla ruota non è sufficiente per originare una forza di attrito con la terra sufficiente per fare la curva: sono ancora contro le gomme!
Per ovviare a ciò, il prossimo giro passerò su una parte di curva con la terra meno farinosa (Ka superiore, maggiore aderenza) o farò la curva più lentamente, oppure giocherò con acceleratore e freno in modo tale da far spostare il peso sulle ruote quel tanto che basta per aumentare l’aderenza aumentando per un attimo il carico e consentire di compiere la curva; in questo caso però sta molto alla sensibilità del pilota riuscire ad arrivare al” limite” senza superarlo.
Un altro classico caso è quando si è in frenata; se si prova a far curvare il retrotreno questo è così alleggerito che immediatamente parte a sbandare perché non ha sufficiente aderenza (c’è poco peso sul retrotreno mentre le sospensioni anteriori sono a “fondo corsa”). Allora basta allentare il freno per ridurre il trasferimento di carico verso l’avantreno che alleggeriva ne contempo il retrotreno, il peso “ritorna” sul retrotreno che può quindi ritrovare l’aderenza.
Ma se la gomma stava slittando perché si era raggiunto l’angolo limite di deriva, sarà inutile trasferire più carico, perché peggiorerà solo le cose. Per definizione, infatti, l’angolo limite di deriva è il limite di carico sopportabile dalla gomma senza slittare, superato questo angolo non esiste alcun carico verticale in grado di far riprendere aderenza alla gomma!
NOTA. Secondo questa regola l’aderenza dovuta alla forza di attrito NON DIPENDE dalla porzione di gomma che si deforma! Per questo anche il ciclista da corsa con i suoi “Palmer” superstretti riesce tranquillamente a curvare anche a grandi velocità. Naturalmente se è un po’ sovrappeso la gomma si deforma presto e addio ciclista! Inoltre attenzione alla sabbiolina sul bordo della strada fa calare repentinamente il coefficiente di aderenza e…allacciare il casco! Naturalmente il vantaggio è che si ha meno attrito volvente e quindi si fa meno fatica, almeno in pianura.
Finalmente abbiamo capito perché le vetture delle gare sul ghiaccio hanno pneumatici molto stretti, come quelli della Panda. Si tratta in questo caso di un terreno particolarmente viscido e con scarsissima aderenza. Quindi in pneumatico difficilmente in accelerazione,frenata e curva riuscirà mai ad arrivare al limite di deriva in quanto la sua deformazione è minima. Allora è più conveniente tentare di aumentare il carico (cioè il peso) sul pneumatico che, come abbiamo capito, moltiplicato per una costante dà la forza di attrito e cioè l’aderenza. Quindi, a parità di peso sul pneumatico stesso, se la superficie è minore, si ha una pressione per unità di superficie maggiore e questo mi porta una migliore aderenza a parità di condizioni. Se facessimo lo stesso discorso se fossimo sull’asfalto avremmo , è vero, maggior forza di attrito ma contemporaneamente il pneumatico troppo stretto si deformerebbe fino al limite di deriva a ogni minima sollecitazione e saremmo subito fuori pista o in testacoda! Se poi vogliamo inserire dei chiodi all’interno del battistrada il pneumatico riesce a “entrare” nel ghiaccio meglio e la vettura pattina di meno.
Quindi: se si vuole avere una vettura che “tiene” in curva e che non slitti in accelerazione e in frenata su di essa vanno montate gomme più larghe possibile. In questo modo l’impronta a terra aumenta, con conseguente aumento della tenuta. Tutto ciò, però, provoca naturalmente un aumento delle perdite per attrito al rotolamento. Ma qual’è la misura giusta? Nel nostro sport preferito va prima di tutto considerato che ci sono delle misure limite date dai regolamenti ufficiali . Inoltre va considerato il fatto che in caso di scarsa aderenza si può giungere al limite di aderenza per attrito senza mai raggiungere il limite di deriva. In questi casi sarebbe inutile utilizzare pneumatici esageratamente larghi, che favoriscono l’allontanamento del limite di deriva, tanto quel punto non verrà mai raggiunto. Viene allora utilizzata una larghezza che è quella giusta per sfruttare il pneumatici al massimo delle loro possibilità. Per questo sono indispensabili le prove in circuito e le sensazioni del pilota.
Conclusioni:
Il pneumatico segue essenzialmente due regole:
Angolo di Deriva. L’aderenza è proporzionale (non linearmente) alla deformazione del battistrada. Più premo sulla gomma in curva è più ho aderenza (ma non linearmente). Questo però fino a un limite che è proprio del pneumatico. Di qui in poi si va fuori strada.
Forza di attrito. Proporzionale al carico in modo lineare. Si ottiene moltiplicando il carico Più premo e più ho aderenza.
Posso però uscire di pista per entrambi questi fenomeni, per esempio:
Caricando troppo il pneumatico sull’asfalto lo deformo troppo ed esco di pista (deriva). Caricando il pneumatico sulla terra che, essendo sdrucciolevole, non ce la fa a “tenere” ed esco di pista (attrito).
LA DINAMICA DEL VEICOLO
LA FRENATA.
Prima di tutto vorrei precisare che una ruota bloccata fa meno attrito di una che gira, per cui se blocco le ruote allungo gli spazi di frenata. La cosa principale per ottenere una frenata potente ed efficace è quella di non bloccare mai le gomme.
In taluni casi, però, questo non è rigoroso. Se la frenata avviene con una gomma che ha meno carico delle altre (es. una frenata in semicurva, o con l’auto appena sbilanciata), vi sarà l’anteriore “interna” che tenderà al bloccaggio. In quel caso, è preferibile sfruttare al massimo l’aderenza delle altre 3 gomme, accettando il bloccaggio di quell’unica gomma con poca aderenza, piuttosto che sacrificare l’aderenza di tutte le gomme in funzione dell’unica che tende al bloccaggio.
Naturalmente, la frenata deve essere effettuata in modo da non sbilanciare l’auto e quindi per quanto possibile, bisogna sempre frenare con l’auto perfettamente allineata, solo in questo modo si può premere a fondo sul freno e sfruttare l’aderenza di tutte e 4 le gomme. Se si comincia a zig-zagare durante la frenata, diventa indispensabile rilasciare il freno per poter controllare l’auto e non fare testacoda, con ovvio allungamento dello spazio di frenata.
Per effettuare una frenata potente, efficace e corretta, quindi, è necessario avere l’auto perfettamente allineata, lo sterzo dritto e pestare con decisione sul freno.
Sull’auto da strada siamo abituati a premere il freno progressivamente, ma su un’auto da corsa questa non è la cosa ideale. Tutto il tempo che passa aumentando la forza frenante, è un transitorio durante il quale non si sfrutta la massima potenza frenante possibile (visto che dovete ancora arrivarci). Insomma state perdendo tempo.
Il modo per minimizzare i transitori, e dunque teoricamente per minimizzare i tempi e gli spazi di frenata, è quello di dare prima un pestone al freno a fondocorsa, e poi, immediatamente dopo, di modulare per impedire che le gomme arrivino al bloccaggio. All’inizio con questo metodo si ottengono solo degli spettacolari lunghi a ruote fumanti.
Ma poi presa dimestichezza con i “tempi” e la corsa del pedale, si impara a sfruttare al massimo la potenza frenante, eliminando virtualmente i transitori che fanno perdere tempo in frenata.
Quando stiamo per finire la frenata, e ci prepariamo a inserirci in curva, diventa fondamentale come rilasciamo il freno. Da come effettuiamo questa manovra, dipende come l’auto rialza il muso e perde carico all’avantreno. Giocando su questa manovra, quindi, possiamo forzare l’auto a modificare il proprio comportamento, facendola passare da sotto a sovrasterzante.
Analizziamo ora brevemente il comportamento della vettura in frenata. Prima di tutto ecco la vettura ferma. I pneumatici devono semplicemente sopportare il peso proprio della vettura (quelle dietro un po’ di più perché il peso è ripartito 40%/60% con il motore in posizione centrale-posteriore). Si deformano quel tanto che basta per avere la giusta aderenza.
La forza peso si immagina concentrata nel baricentro della vettura (pallino nero). E’ una semplificazione che però riesce a spiegare senza errori il comportamento reale della vettura. Il diagramma si riferisce all’equilibrio secondo le forze esterne agenti sulla vettura.
Immaginiamo ora di lanciare la vettura in rettilineo e di applicare una potente frenata.
In questo momento “nasce” la forza di inerzia che è proporzionale alla massa della vettura (in poche parole: più la vettura è pesante e più ce n’è) e alla decelerazione alla quale sottoponiamo la vettura (in poche parole: quanto schiacciamo il pedale del freno). Tralascio la pedante dimostrazione rigorosa con l’equilibrio delle forze, anche perché avrei dovuto considerare anche l’inerzia alla rotazione delle ruote, per esempio.
Il risultato è che:
– La forza di attrito sulla ruota anteriore è direttamente proporzionale al peso della vettura, alla decelerazione della vettura, all’altezza del baricentro della vettura, all’inerzia alla rotazione delle ruote (in pratica quanta fatica faccio per mettere in rotazione solo le ruote).
– la forza di attrito sulla ruota anteriore è inversamente proporzionale al passo della vettura (distanza fra le ruote).
– le ruote posteriori seguono le stesse relazioni ma inversamente alle grandezze in gioco.
In definitiva: più è pesante la vettura, più è lunga e più schiaccio il freno e più l’anteriore dovrebbe tenere!
Ma è importante notare che:
In queste condizioni si arriva prima all’angolo di deriva limite e quindi la gomma non resiste e non riesce a frenare la vettura: vado dritto!
In queste condizioni di trasferimento di carico “violento” si arriva sicuramente prima al limite di deriva della gomma che al limite di tenuta dovuta alla forza scambiata con il terreno, a meno di avere a che fare con fango o ghiaccio.
L’effetto risultante di una frenata, pertanto, è quello di variare la forza che va ad agire sugli assi anteriori e posteriori dell’auto, aumentando la forza su quello anteriore e diminuendola su quello posteriore. E’ esattamente come se in frenata aumentasse il peso sull’asse anteriore, e diminuisse il peso sull’asse posteriore. Ecco perché vediamo la vettura col muso per aria in accelerazione, e a sfiorare la terra in frenata.
Per questo si parla di “trasferimento di carico”: le forze in gioco fanno sì che, ai fini pratici, si ottenga un risultato analogo a quello che si verificherebbe se il peso dell’auto si spostasse verso l’avantreno, spostando il baricentro e i pesi gravanti sui singoli assi.
Da qui si capisce come mai si cerca sempre di abbassare il baricentro il più possibile e perché questo ha effetti benefici sulla tenuta del veicolo: esso diventa più stabile; in frenata a parità di condizioni la forza di attrito sull’anteriore e sul posteriore MA si allontanano dal limite di deriva le gomme. che quindi riescono a rispondere alle sollecitazioni imposte dal freno e riescono a frenare di più la vettura che a sua volta aumenta la decelerazione e così via, in un circolo virtuoso.
In definitiva, abbassando il baricentro è come se io guadagnassi un “bonus” di aderenza, visto che devo esercitare forze Forze maggiori per provocare forze orizzontali (e analoghe trasversalmente, sia chiaro) che portino le gomme al limite di deriva.
In analogia a questo discorso c’è quello sul passo della vettura: più il passo è lungo le forze di attrito sui pneumatici anteriori e posteri sono più piccole che non in una vettura a passo corto. Ecco spiegato come mai un veicolo a passo lungo è più stabile di un veicolo a passo corto, tanto in frenata quanto in accelerazione. Ma, per contro, questo rende l’auto meno “reattiva” ai comandi del pilota, e se si esagera si ottiene un’auto così stabile da essere difficilmente manovrabile!
Analogamente si ragiona a proposito della fase di accelerazione.
L’ACCELERAZIONE.
Ciò che avviene in accelerazione è concettualmente la stessa cosa che succede in frenata, solo che la forza di attrito sulle ruote posteriori (questo in caso di trazione solo su quelle ha verso opposto e quindi favorevole alla marcia del veicolo)
In questo caso l’avantreno “si alleggerisce” e il retrotreno “si carica”. Notare come la freccia corrispondente alla risposta del terreno verticale sulla ruota posteriore aumenti (parte verde) .Per questo motivo, a meno di esagerare con il pedale del gas, le ruote posteriore garantiscono sempre una maggiore tenuta nella direzione del moto. In sostanza più accelero e più la vettura tiene. Questo è tanto più vero tanto più si rispettano le condizioni su peso e posizione del baricentro della vettura (poco peso, baricentro basso) per non incorrere nel limite di deriva longitudinale.
Inoltre più il baricentro è verso il retrotreno e più aumenta il carico in trazione. Questo diventa inavvertibile in frenata, visto che l’avantreno compensa, ma diventa al contrario molto evidente in accelerazione, dove il “carico” del posteriore aumenta in maniera notevole. Ecco perché quando si cerca di aumentare la trazione di un’auto, in genere si cerca di spostare il baricentro un po’ verso il retrotreno: ricordo sempre che l’aderenza di una gomma è data dal suo coefficiente di attrito moltiplicato per la forza peso che “preme” la gomma sull’asfalto. Naturalmente, fino al limite di deriva!
Quindi si capisce ora perché le vetture da competizione nascono, se possibile, con la trazione sulle ruote posteriori: il presenza di grandi potenze il retrotreno si carica in accelerazione ma l’opposto succede all’avantreno! Vengo ad avere quindi meno tenuta cioè forza di attrito che viene meno perché non ho più peso che “tiene giù”.
Inoltre in curva (vedere dopo) il danno è ancora superiore perchè se la vettura non è dotata di autobloccante (dispositivo che blocca le ruote motrici che sono quindi costrette girare alla stessa velocità), oltre al fatto che l’avantreno “si alza” per l’accelerazione imposta, la ruota interna “si alza” a causa della forza centrifuga e nel caso più probabile gira a vuoto. Il differenziale montato sulle comuni vetture di serie consente di far girare la ruota esterna in curva più velocemente di quella interna, facendo curvare con poca fatica, ma è stupido: nel caso in cui una ruota slitti (in presenza di ghiaccio, per esempio), l’altra si ferma e non andiamo da nessuna parte (sempre che l’altra sia sull’asfalto,altrimenti slittano tutte e due). Da queste considerazioni si può capire perchè le macchine a trazione anteriore sono facili da guidare ma sono caratterizzate da un irrimediabile sottosterzo, specie in uscita dalle curve.
LA CURVA.
Il comportamento in curva ricalca quello che succede in frenata e accelerazione con la differenza che ora sono le ruote esterne e interne che hanno carichi che differiscono rispetto alla configurazione della vettura ferma o in moto rettilineo uniforme (sopra).
Qui la vettura in curva. Ora sono le ruote esterne che devono sopportare il “trasferimento” di un maggior carico. In realtà, come nei casi precedenti, il carico dipende da una specie di forza di inerzia chiamata “Forza centrifuga”, proporzionale:
– alla massa del veicolo
– al quadrato della velocità di percorrenza della curva (più siamo veloci in curva è maggiore è, ma se la velocità è il doppio rispetto al giro precedente, ora la forza centrifuga è quattro volte tanto!)
– inversamente proporzionale al raggio della curva stessa (più la curva è stretta e maggiore è).
Detto questo le considerazioni sono analoghe al caso precedente ma va ricordato che il limite di deriva trasversale è inferiore al quello longitudinale. In sostanza il pneumatico dà migliori risposte in accelerazione e frenata che non in curva. Quindi quando percorro una curva il pneumatico arriva molto presto al limite, più di quanto non avviene in rettilineo . Inoltre va ricordato che quello interno addirittura si “scarica” e vi grava sopra un peso inferiore addirittura rispetto alla configurazione da fermo! Qui non si parla più di deriva ma semplicemente il peso non è sufficiente per fornire abbastanza attrito. Inoltre se provassi ad accelerare in curva l’avantreno si scaricherebbe maggiormente portando la ruota interna ormai scarica a staccarsi dal suolo, lasciando l’effetto sterzante alla sola ruota anteriore esterna. Questa ora potrebbe essere fuori dal pericolo del limite di deriva poiché il carico è diminuito, ma la forza di attrito che si genera diminuisce e… sono in sottosterzo. La vettura prosegue ma non riesco a curvare di più. Sto perdendo tempo.
Tutto ciò per giustificare il fatto che la tecnica della derapata sulle 4 ruote, spiegata nella sezione dello studio delle traiettorie ideali, è quella più redditizia nel percorrere le curve.
Vorrei sottolineare che il comportamento ipotizzato dalla vettura in curva è quello tipico della guida su terra, mentre nella guida su pista con enormi aderenze dei pneumatici o addirittura grandi carichi aerodinamici (tipo F1), la tecnica della conduzione di curva con contemporanea accelerazione può risultare vantaggiosa.
